REPORT 2
(5)
Alta tensione
Storia di un sito
Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.
La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?
Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.
Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.
Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?
Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.
Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]
Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?
[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993
Alta tensione
Storia di un sito
Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.
La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?
Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.
Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.
Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?
Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.
Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]
Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?
[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993
Alta tensione
Storia di un sito
Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.
La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?
Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.
Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.
Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?
Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.
Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]
Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?
[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993
Alta tensione
Storia di un sito
Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.
La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?
Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.
Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.
Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?
Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.
Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]
Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?
[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993
Alta tensione
Storia di un sito
Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.
La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?
Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.
Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.
Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?
Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.
Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]
Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?
[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993