ewo est en mouvement. Nous construisons des relations. Avec d’autres personnes, avec de nouveaux marchés, avec des cultures différentes. Nous acceptons consciemment les influences et nous les soutenons. Nous sommes en effet convaincus que des réponses aux besoins de notre temps émergent de ces relations. ewoLAB promeut des projets avec des artistes, des designers et des architectes et, ce faisant, se confronte avec la ressource de la lumière sur différents plans.

NOVEMBRE 2015 “Lightways” « Lightways » de Linda Jasmin Mayer pour ewoLAB : On/off - une réflexion sur la lumière

Le long de la route, l’éclairage s’éteint soudainement. Puis, il se rallume, en dirigeant le faisceau de lumière sur un objet ou un bâtiment. Parfois, l’objet capture le regard des passants, parfois non. Certains s’arrêtent, surpris, d’autres continuent leur route. Certains regardent autour d’eux, perturbés, en pensant que la lampe a explosé. Quelques-uns se demandent même si ce n’est pas une apparition.

Nous sommes à Copenhague, dans le quartier de Refshaleøen, où Linda Jasmin Mayer a réalisé une installation lumineuse pour ewoLAB. L’installation s’intègre avec grâce dans le site qui l’accueille et éclaire le parcours qui conduit au quai de mouillage. Le style de cette zone, autrefois chantier naval de la ville, est typiquement industriel : usines désaffectées, vieilles cabanes, habitations en partie abandonnées ou redécouvertes par des esprits locaux créatifs. L’intervention artistique est subtile, pas forcément flagrante pour tous. Elle conduit plutôt à se demander : lorsque nous marchons, jusqu’à quel point sommes-nous attentifs au chemin que nous parcourons ? À quel point nous laissons-nous « distraire » ? Dans quelle mesure sommes-nous des personnes attentives ? Ceux qui s’arrêtent et regardent autour d’eux se rendent immédiatement compte que quelque chose a changé, que l’éclairage public n’est pas comme d’habitude. L’artiste joue avec la présence et l’absence de lumière. Les technologies modernes permettent d’allumer les lampes uniquement quand elles sont utiles ; au passage des voitures ou des piétons par exemple. Ici, c’est exactement l’inverse qui se produit : le capteur réagit au mouvement en éteignant temporairement la lumière.

La grande interrogation de l’art contemporain est : qu’est-ce que l’art ? Qu’est-ce qui ne l’est pas ? Quels signaux doit transmettre l’art pour être identifié comme tel ? Avec l’installation « Lightways », l’artiste évolue volontairement sur la ligne de frontière. Elle accepte que son œuvre ne soit pas reconnue. Avec la lumière, elle capture l’attention en la dirigeant sur les objets du passé, protagonistes de cet espace. Vue de loin, l’installation évoque une scène sur laquelle la chorégraphie change en fonction de la performance. En résulte une mise en scène de la lumière, ludique, presque éphémère, dans un contexte imprégné d’une grandeur technique appartenant au passé.

L’installation a été réalisée avec des projecteurs à LED d’ewo (modèles P160 et P200). Les systèmes optiques sont constitués de lentilles avec différentes caractéristiques d’émission (du faisceau étroit au faisceau élargi) qui mettent en évidence des objets éclairés de façon diversifiée. Les tons de lumière sont le chaud (3000 K) et le froid (6000 K). En ce qui concerne l’éclairage du mât, les températures de couleur varient de la plus haute à la plus basse.

Les appareils d’éclairage communiquent réciproquement par le biais d’un réseau d’antennes radio. Avec un système de commande à distance, les fonctions se définissent et se modifient en contrôlant l’installation en temps réel. Les réactions interactives sont effectuées grâce aux capteurs de mouvements. Pour ce projet, ewo a personnalisé la programmation du logiciel en ajoutant des séquences de scènes dynamiques pour l’éclairage du mât. Une gateway sert d’interface centrale et communique avec le logiciel de commande par GSM. Un des défis affrontés au cours de ce projet a été de créer un effet incisif en intervenant le moins possible sur la structure préexistante. Pendant toute la durée de l’installation, toutes les données seront enregistrées pour être examinées en temps opportun.

ightways

Lightways

Lightways
1

REPORT 1

(1)
Sentieri mentali
Buio e luce

Nel buio panorama urbano della notte seguiamo la luce. Essa ci attrae. I percorsi che scaturiscono dai nostri movimenti verso e attraverso la luce sembrano predestinati, progettati, costruiti. I nostri passi attraverso l’oscurità, visti dall’alto, potrebbero sembrare guidati. Solo ciò che è illuminato, la luminosità, attira la nostra attenzione – e noi ci focalizziamo su di lei. Le tenebre invece, e tutto ciò che esse nascondono, rimangono un mistero inesplorato ai margini della nostra percezione.

Ma quante strade ci precludiamo se seguiamo esclusivamente questo cammino predeterminato? Quante strade, immerse nel buio, non imbocchiamo? Che cosa accadrebbe se invece fosse la luce a seguire noi e non il contrario? Cosa succederebbe se ciò che è apparentemente insignificante fosse inondato improvvisamente di luce- e non solo le cose che noi ci aspettiamo siano illuminate? Se in un museo non fossero più illuminati i dipinti alle pareti ma invece le prese elettriche ai loro piedi? E’ così facile controllare il nostro sguardo?
Ed abbiamo paura di guardare nell’oscurità?

L’oscurità è inquietante. Ma al tempo stesso suscita curiosità e rafforza l’immaginazione. L’occhio si abitua all’oscurità rapidamente – molto più velocemente di quanto non si abitui alla luce intensa. Se si guarda una luce abbagliante, non si vede più niente. E più forte è la luce, più è scura l’ombra che crea. Senza dubbio vi è più del contrasto tra buio e luce. Lo spazio tra di loro è ricco di sfumature e gradazioni che alimentano la nostra visione. Ma di quanta luce abbiamo bisogno per poter vedere? La mia ricerca porta negli angoli più bui della città. Dove sono? Perché non sono illuminati? Che cosa si nasconde nel buio?
2

REPORT 2

(5)
Alta tensione
Storia di un sito

Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.

La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?

Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.

Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.

Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?

Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.

Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]

Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?

[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993
Alta tensione
Storia di un sito

Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.

La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?

Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.

Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.

Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?

Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.

Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]

Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?

[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993
Alta tensione
Storia di un sito

Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.

La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?

Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.

Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.

Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?

Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.

Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]

Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?

[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993
Alta tensione
Storia di un sito

Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.

La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?

Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.

Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.

Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?

Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.

Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]

Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?

[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993
Alta tensione
Storia di un sito

Mentre ero alla ricerca dei luoghi più bui della città sono incappata in un’isola che sembrava sospesa tra passato e futuro come una terra di nessuno. Questa zona della città prossima al centro non è più un’isola già da tanto tempo, un ponte la collega alla terraferma e il suo profilo conferma l’impressione che sia stata ampliata artificialmente diverso tempo fa e che comunque continui ad espandersi. Gli edifici industriali e i grandi capannoni si presentano come inutili relitti di un tempo che non c’è più, narrano di un’epoca in cui tante cose erano qui diverse e parlano di un futuro di cambiamenti senza sosta.

La società Burmeister & Wain, attiva nel settore cantieristico tra il 1872 e il 1996, era uno dei più importanti poli industriali del Paese, un emblema della nazione, un’icona dell’industria e un simbolo delle sue promesse. Dopo la crisi della cantieristica e la bancarotta venne improvvisamente abbandonata. Migliaia di lavoratori trovarono un altro posto. Questo luogo ha solleticato la mia immaginazione e ha risvegliato molti interrogativi: che significato hanno la decadenza e l’abbandono di industrie e delle loro infrastrutture? Con tali dismissioni perdiamo anche qualcos’altro: nomi e linguaggi? Quante cose non possono più essere percepite perché ne abbiamo dimenticato e quindi perso il linguaggio con l’avanzare del progresso?

Ad un’osservazione più attenta si è rivelato qualcosa di sorprendente: i capannoni apparentemente inutilizzati avevano in realtà tutti un’utilità a tempo.

Ho trovato un bunker, sopraffatto dalla natura che lo ha sommerso di vegetazione. Al suo interno innumerevoli ambienti vuoti e l’odore umido di muffa e di ruggine. Ho visto parecchi capannoni, in alcuni venivano prodotte le singole sezioni delle navi. Altri locali avevano alte torri da cui venivano proiettati verso il basso i contorni degli scafi mercantili per ritagliarne il profilo. Oggi vengono utilizzati come rimesse invernali per yacht, come palestre d’arrampicata e come deposito di container. Nei capannoni più grandi un tempo venivano assemblate le diverse sezioni delle navi, oggi invece i tanti container ospitano le scenografie del Teatro reale.

Alcuni giorni dopo ho trovato l’ultimo relitto intatto del cantiere navale dai tempi della bancarotta: il generatore elettrico. Un luogo quello, così mi è parso, che nasconde centinaia di storie. Su una scrivania assieme ad altri documenti c’era ancora una guida telefonica del 1986. La crisi fu così improvvisa? Le persone semplicemente si alzarono e se ne andarono? Ci sono cavi che continuano a collegare i tanti capannoni del vecchio cantiere. Cosa trasportano oggi queste condutture elettriche? L’elettrificazione ebbe un’influenza così determinante sull’evoluzione della luce artificiale. Com’era il mondo "prima", quando le città non erano ancora illuminate?

Nel corso di una delle mie ultime visite ho incontrato il fondatore di un’organizzazione nella quale molti volontari lavorano alla costruzione di un razzo per un volo suborbitale con equipaggio, per oltre un decennio avevano costruito sottomarini. Vogliono lanciare nello spazio il primo razzo dotato di equipaggio: nell’arco di quattro minuti si dovrebbero compiere alcune rotazioni sul proprio asse ad una quota di 150 km e quindi atterrare nuovamente sani e salvi sulla superficie della terra.

Alcuni giorni prima avevo scoperto nel corso di un’intervista una nuova prospettiva sulla luce. L’artista americano James Turrell, che ha lavorato con la luce nel corso di tutta la sua vita, raccontava: ”Perché allo stesso modo di come il cielo diurno ci avvolge di luce, che illumina l’atmosfera, cosicché è impossibile vedere le stelle ... se dunque tale luce viene tolta, otteniamo un accesso all’universo e questo è un fattore psicologico importantissimo. E allora quando la luce della città illumina il cielo notturno, tanto da non permetterci di vedere le stelle di notte, ciò ha un effetto decisivo."[1]

Il cielo notturno lo si può vedere bene oggi da Refshaleøen, di notte l’isola è sprofondata nelle tenebre proprio come il suo futuro. I proprietari attuali, alcuni fondi pensionistici, speculano sul fatto di potervi costruire un’area residenziale nei prossimi decenni. Così verrebbe costruito sopra quelle strutture dell’isola che erano state destinate ad uso industriale. Non vi è dubbio che il futuro sia buio, ma qual è il futuro della luce? E cosa significherà luce in futuro?

[1]Frauke Tomczak, Licht als Material - Ein Gespräch mit James Turrell, Kunstforum, Band 121, 1993
3

REPORT 3

(1)
Percorsi luminosi
Sequenze di luce  

La luce attrae, distrae e influenza la percezione. La luce guida i nostri sguardi e i nostri passi. L’installazione di Refshaleøen metterà in luce ciò che non si vede perché avvolto dall’oscurità: lungo un alternativo percorso luminoso, l’inaspettato si illumina, ne nasce una coreografia fatta di luci e di penombre in cui vari punti dell’isola reagiscono agli effetti del contesto che le ospita ed entrano in comunicazione tra loro.

Verranno illuminati alcuni elementi dell’ex cantiere navale di Refshaleøen liberandoli per qualche momento dalle tenebre. I vari punti luce colpiranno oggetti del passato ancora presenti sull’isola, seppur in parte privati della loro funzione. Si mette così in discussione il presente dell’infrastruttura del cantiere apparentemente dismessa, per rivolgere l’attenzione al decadimento dei manufatti industriali storici e al loro futuro.

Passato e presente dialogano fra loro nell’interazione fra le nuove tecnologie e i relitti industriali superstiti in cui il nuovo non soppianta in vecchio, ma lo rende accessibile.  

Percorsi luminosi

Sul punto di attracco delle imbarcazioni del trasporto marittimo pubblico, nascerà un percorso sensibile alternativo che conduce nel cuore dell’isola.

Il percorso propone un’analisi e una riflessione sulla luce che è una sorta di abituale “visita guidata” meccanica della città. Il tratto che si snoda fra il punto di attracco e il centro dell’isola è un nuovo elemento dell’infrastruttura, realizzato e illuminato alcuni anni fa.

Lungo il percorso, al passaggio delle persone nel cono di luce, alcuni corpi illuminanti si spengono improvvisamente. Nel medesimo istante si accende un altro cono di luce che illumina un vicino relitto industriale appartenente all’ex cantiere. Per un attimo, mentre si spegne la luce sotto cui si trova il passante, si illumina il passato.

Camminare nel buio deve confondere, stupire, interrompere la consapevolezza meccanica, far nascere percezioni sensoriali diverse. La percezione cambia quando improvvisamente cala il buio.

Di norma un rilevatore di movimento si attiva col passaggio in prossimità di un corpo illuminante. L’installazione rende consapevoli della sensazione di sicurezza che dà l’accensione della luce facendone in un certo qual modo una valutazione critica.

Attraverso la loro accensione in sequenza, gli elementi illuminati con intensità diverse danno vita a una narrazione immediatamente dopo lo spegnersi delle lampade che segnano il percorso. Alla stregua di un flash fotografico, il breve lampo di luce che colpisce gli elementi storici produce una sequenzialità con cui si racconta una storia.
13-2015

OPENING 13 NOVEMBRE 2015, TRANSFORMATOR STATION, REFSHALEØEN, COPENHAGEN

(15)
Photography: ALEN ALIGRUDIC

LIGHTWAYS

(14)
Photography: LINDA JASMIN MAYER & ALEN ALIGRUDIC













LINDA JASMIN MAYER

(1)

ewo srl - via dell'Adige 15 - IT-39040 Cortaccia (BZ) - T +39 0471 623087 - mail@ewo.com - P.IVA IT 01603000215

L'acceptation des cookies permet une utilisation optimale de notre site web.


ok